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Il sistema gestionale delle collezioni museali oggi è facile, anzi piacevole

Quando ho iniziato a lavorare catalogando opere nei musei, il primo software che ho utilizzato era una versione scritta in Pascal di CDS/ISIS. Ricordo ancora a memoria cosa dovevamo inserire per definire i sotto campi all’interno di un campo: ^a per il Cognome dell’autore, ^b per il nome, ^p per lo pseudonimo e via di questo passo per tutti i campi della scheda. Se per caso l’apice non veniva digitato, il sotto campo non veniva creato. Pur catalogando oggetti conservati in un museo, non esisteva la possibilità di allegare immagini alla scheda: le immagini digitali non esistevano, e questo solo poco più di 20 anni fa, nel 1995.

Fortunatamente nel giro di qualche anno iniziarono a comparire soluzioni con interfacce più amichevoli, venne prevista la possibilità di allegare immagini digitali, i software potevano essere installati sui propri desktop e non eravamo più costretti a condividere un PC e lavorare a turno. La grande rivoluzione fu però la possibilità di lavorare via web, connettendoci direttamente attraverso un browser alle applicazioni web-based che, pur con molte limitazioni, rappresentavano comunque una grande opportunità.

Questa breve cronistoria (peraltro molto personale) racconta il progressivo aumento di funzionalità di questi sistemi che purtroppo spesso ha coinciso con una maggiore complessità e difficoltà di utilizzo, al punto da risultare talvolta ostili e odiati da quanti avrebbero dovuto utilizzarli.

 

Per offrire ai musei un’applicazione davvero facile da usare serve ripensare attentamente a coloro che dovranno utilizzarla. Chi sono le persone che utilizzeranno il sistema? Cosa devono fare? Che competenze hanno?

Negli anni 90 il principale utilizzatore di questi sistemi era il catalogatore, impegnato nel lavoro di data entry. Con la possibilità di installare più postazioni, al catalogatore si è affiancato il conservatore, che è passato dalla consultazione dello schedario cartaceo a quello a video. Oggi una gran parte delle collezioni è stata ormai catalogata e, con la possibilità di creare sistemi multiutente, la platea dei potenziali utilizzatori si è progressivamente allargata: l’applicazione per la gestione delle collezioni dovrebbe poter essere utilizzata anche dai custodi o dal personale tecnico del museo, per movimentare e registrare tutti gli spostamenti delle opere, ad esempio; o ancora, i restauratori sono anch’essi potenziali utenti, ma anche gli amministrativi, i facilitatori, gli esperti di comunicazione che hanno bisogno di condividere ogni giorno nuovi contenuti; infine, il pubblico che, attraverso i contenuti messi a disposizione dal museo, può essere ingaggiato e invitato.

Se un’applicazione pensata per i musei non è utile e semplice da usare per tutti coloro che lavorano in museo, perché dovrebbe essere utilizzata?

Oggi che è possibile, dobbiamo facilitare l’uso attraverso un’esperienza che non può risultare odiosa, o anche solo così complessa da comportare inutili sprechi di tempo. È necessario, e fattibile, cercare di superare tutte le barriere: occorre che l’applicazione possa essere configurata in pochi minuti, che gli utenti vi possano accedere da dispositivi diversi, che ciascuno di essi trovi facilmente le funzionalità di cui ha bisogno, che non sia necessario che tutti conoscano le regole di catalogazione (non più solo i catalogatori, come abbiamo visto sono i soli utenti dell’applicazione), che aiuti a lavorare meglio e più velocemente.

Una definizione accurata delle interfacce utente non basta più. È necessario progettare in base all’esperienza d’uso che i nostri utenti faranno, in modo che siano facilitati nel loro lavoro e contenti di utilizzare un’applicazione che semplifichi la loro la vita professionale.

Non da ultimo, è necessario pensare a come le informazioni che sono archiviate nella nostra piattaforma arriveranno al pubblico. A questo proposito rimando a Museums, show your collection some love, un interessante articolo in cui Nicole Riesenberger racconta, tra le altre cose, di come il 90% dei partecipanti a un test di usabilità del sito web di The Phillips Collection hanno avuto difficoltà a capire che la pagina Collezione del sito era il posto dove poter scoprire pezzi forti e curiosità della collezione; addirittura il 50% dei visitatori non avevano mai navigato questa pagina.

Ma qual è dunque l’obiettivo del sito web di un museo, se non quello di invogliare gli utenti a saperne di più e, possibilmente, a visitare il museo di persona? si domanda la Riesenberger.